La situazione attuale del sistema pensionistico italiano presenta opportunità con due misure disponibili per andare in pensione a 62 anni.
Negli ultimi tempi, il dibattito riguardante il sistema pensionistico italiano ha ripreso vigore, con particolare attenzione alla possibilità di una riforma che potrebbe introdurre la pensione a 62 anni a partire dal 2026.
Tuttavia, è fondamentale chiarire che al momento non ci sono decisioni definitive. Nonostante ciò, nel panorama attuale, esistono già due misure concrete che consentono di andare in pensione a 62 anni nel 2025, a patto di soddisfare requisiti specifici.
Le misure per andare in pensione a 62 anni
La prima misura che consente di andare in pensione a 62 anni è conosciuta come Quota 103. Questa opzione è generalmente rivolta a tutti i lavoratori, ma presenta requisiti severi. In particolare, per poter accedere a questa forma di pensione, è necessario aver accumulato almeno 41 anni di contributi versati. I vantaggi di Quota 103 rispetto alla pensione anticipata ordinaria sono modesti: gli uomini possono anticipare l’uscita di circa 22 mesi, mentre per le donne il vantaggio è di soli 10 mesi.
Un altro aspetto da considerare sono le cosiddette “finestre mobili di uscita”. Per la pensione anticipata ordinaria, è prevista una finestra di attesa di 3 mesi una volta raggiunti i requisiti, ovvero 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Al contrario, per Quota 103, la finestra si allunga a 7 mesi nel settore privato e a 9 mesi nel pubblico, riducendo ulteriormente il vantaggio per i lavoratori maschi a un anno e mezzo e per le donne a sei mesi.
Per i lavoratori in situazioni particolari, come caregiver, invalidi, disoccupati e addetti a mansioni gravose, esiste un’altra opzione chiamata Quota 41. Questa misura consente di andare in pensione con 41 anni di contributi, ma con una finestra di attesa di soli 3 mesi. Questo confronto mette in evidenza come Quota 103 possa risultare meno vantaggiosa rispetto a Quota 41, soprattutto per chi ha diritto a quest’ultima.

Sebbene Quota 103 permetta un’uscita anticipata, essa comporta anche diverse penalizzazioni. Un aspetto cruciale è il divieto di cumulo tra i redditi da pensione e quelli da lavoro. In pratica, chi usufruisce di Quota 103 non può intraprendere alcuna attività lavorativa fino al compimento dei 67 anni. Qualora decidesse di tornare al lavoro prima di questa età, rischierebbe di perdere il diritto alla pensione e sarebbe obbligato a restituire i ratei percepiti nell’anno in cui ha ripreso a lavorare.
In aggiunta, l’importo mensile della pensione per chi sceglie Quota 103 non può superare quattro volte il trattamento minimo INPS, corrispondente a circa 2.400 euro lordi al mese. Coloro che si trovano in una posizione economica più alta, e che avrebbero diritto a un assegno superiore, devono accettare una riduzione dell’importo per tutta la durata del periodo di anticipo. Infine, è importante notare che la pensione calcolata con Quota 103 segue il metodo contributivo, il che significa che chi avesse diritto a un calcolo misto (soprattutto coloro che hanno versato più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995) potrebbe subire una riduzione fino a un terzo dell’importo spettante.
Pensione anticipata per donne con figli
Un’altra opzione per accedere alla pensione a 62 anni è la pensione anticipata contributiva, che consente di andare in pensione a 62 anni e 8 mesi, ma con specifiche condizioni. Questa misura è riservata a un numero limitato di lavoratrici, in particolare quelle che hanno almeno 20 anni di contributi e che sono madri di almeno quattro figli. In questo caso, è previsto uno sconto di 4 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di 16 mesi.
Oltre ai requisiti anagrafici e contributivi, ci sono ulteriori condizioni da soddisfare: la pensione maturata deve essere pari o superiore a 2,6 volte l’assegno sociale, che è attualmente intorno ai 1.400 euro mensili. Per le donne con un solo figlio, la soglia sale a 2,8 volte, mentre per le donne senza figli e per gli uomini, la soglia è fissata a 3 volte l’assegno sociale. Un’altra condizione cruciale è che non devono essere stati versati contributi prima del 1996, indipendentemente dalla tipologia.