
La prova documentale digitale nei processi tributari news.popcorntv.it
L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza ampliano gli strumenti a disposizione per i controlli fiscali.
Questa evoluzione è stata sancita da recenti pronunce della giurisprudenza, che hanno attribuito un peso probatorio rilevante alle informazioni e ai documenti digitali acquisiti in sede di accertamento tributario.
Nell’ambito di un procedimento tributario, la prova documentale riveste un ruolo cruciale e prevale sulle testimonianze orali. Il giudice tributario è tenuto a valutare con attenzione tutti gli elementi probatori presentati dalle parti, inclusi quelli provenienti dai social media. Già nella circolare n. 1 del 2018, la Guardia di Finanza aveva chiarito che durante le ispezioni e i controlli fiscali è legittimo verificare anche i dispositivi elettronici del contribuente, quali computer e smartphone.
Di recente, la Corte di Cassazione ha confermato tale orientamento con la sentenza n. 8259/2025, riconoscendo la validità dei documenti acquisiti dai finanzieri durante le verifiche, anche se estratti da dispositivi informatici personali. Un caso emblematico riguarda una coppia imputata per aver simulato una separazione legale pur continuando a convivere, con l’obiettivo di occultare beni e movimentazioni finanziarie.
In particolare, il Tribunale ha rilevato come la coppia avesse disposto l’intestazione fittizia di un’autovettura Porsche Cayenne alla madre della moglie e la corresponsione in contanti di somme relative all’acquisto di un altro veicolo intestato alla moglie. La vicenda si è conclusa con la notifica di un avviso di accertamento per un debito verso l’Erario di quasi 500.000 euro e la condanna in primo grado, confermata dalla Suprema Corte.
L’efficacia probatoria di post, foto e chat
Secondo l’articolo 2712 del codice civile, le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, così come le registrazioni fonografiche, costituiscono piena prova dei fatti rappresentati, a meno che non venga contestata la loro conformità all’originale. Ciò implica che un post su Facebook o una fotografia condivisa su Instagram possono essere considerati prove documentali a tutti gli effetti, se la parte interessata non ne contesta la veridicità.
Parallelamente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8376 del 28 febbraio 2025, ha stabilito che anche le conversazioni su WhatsApp possono essere utilizzate come prova in giudizio, senza necessità di un controllo diretto preventivo. Questo apre la strada a un monitoraggio più capillare da parte delle autorità fiscali, che possono così individuare comportamenti evasivi attraverso l’analisi di messaggi e scambi digitali.

Nonostante l’estensione dei poteri di indagine, il sequestro di uno smartphone o di altri dispositivi digitali non è automatico. La legge impone condizioni rigorose per autorizzare tali misure invasive della privacy. In primo luogo, devono sussistere fondati indizi di reato: le autorità devono dimostrare che il dispositivo elettronico può contenere prove rilevanti di evasione fiscale o altri illeciti tributari.
In secondo luogo, il sequestro deve essere autorizzato da un magistrato, che valuta la legittimità e la proporzionalità della misura adottata. Infine, la gravità del reato fiscale è un requisito fondamentale: non basta un semplice sospetto, ma deve trattarsi di episodi significativi come frodi fiscali, emissione di fatture false o occultamento di redditi.
Questo quadro normativo e giurisprudenziale testimonia il crescente ruolo delle tecnologie digitali nel contrasto all’evasione fiscale, con un impatto diretto sulle modalità di controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. Gli accertamenti si arricchiscono così di nuovi strumenti investigativi, che includono l’analisi approfondita di social network e app di messaggistica, elementi che possono rivelare dinamiche nascoste e comportamenti fraudolenti.