C’è curiosità riguardo al guadagno di sacerdoti, suore, frati e vescovi. Ecco a quanto ammonta la loro remunerazione
La questione delle retribuzioni di preti, vescovi e suore suscita sempre un certo interesse e curiosità tra i cittadini. In un’epoca in cui il tema del lavoro e del giusto compenso è al centro del dibattito sociale e politico, è fondamentale comprendere come funziona il sistema di sostentamento dei religiosi in Italia. Quello che emerge è un panorama variegato, dove le retribuzioni e le modalità di sostentamento non possono essere ridotte a semplici numeri.
In sintesi, il mondo del sostentamento per preti, vescovi e suore è complesso e variegato, con molte sfaccettature e regole che ne governano il funzionamento. Questo sistema riflette non solo le necessità economiche dei religiosi, ma anche l’impatto della loro missione sociale e spirituale nella comunità.
La retribuzione dei religiosi
Per i sacerdoti, la remunerazione non può essere definita un vero e proprio stipendio, ma piuttosto un “sostentamento”. Questa è una somma che garantisce ai religiosi i mezzi economici necessari per vivere dignitosamente e svolgere la loro missione. La Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha stabilito che il compenso per i sacerdoti ammonta a 13,12 euro lordi per ogni punto assegnato. I punti dipendono da vari fattori, come l’anzianità, l’incarico e la difficoltà del luogo in cui operano.

Ad esempio, un sacerdote appena ordinato ha un punteggio di 80, il che si traduce in circa 1.049,60 euro lordi mensili, mentre un vescovo con una carriera consolidata può arrivare a percepire fino a 1.810,56 euro lordi mensili con 138 punti. Questo sistema di punteggio tiene conto di diversi aspetti, come la distanza tra le parrocchie e la presenza in aree disagiate, che richiedono un maggiore impegno e risorse.
È importante notare che il sostentamento del clero non rappresenta la totalità del reddito di un sacerdote. Molti di loro possono svolgere anche altre attività lavorative, come insegnare nelle scuole o lavorare in ospedali e caserme. In questi casi, il sostentamento della Cei integra solo il reddito necessario a raggiungere una soglia minima, che viene ridefinita ogni anno in base al costo della vita.
Un altro aspetto importante riguarda l’alloggio e le spese accessorie. Le parrocchie sono responsabili di fornire un alloggio ai sacerdoti e di contribuire al pagamento delle utenze, come luce, acqua e gas. In genere, questo supporto si traduce in un rimborso spese mensile di circa 100 euro. Tuttavia, questo rimborso non è previsto per i sacerdoti che superano la soglia di reddito stabilita dalla Cei.
Per quanto riguarda i sacerdoti che non possono svolgere un ministero attivo per motivi di salute o età, esiste un assegno integrativo di circa 1.400 euro lordi, finanziato dal sistema di previdenza integrativa.
A differenza dei sacerdoti, le suore e i frati non ricevono un sostentamento garantito dalla Chiesa. Spesso, queste figure religiose devono cercare altre fonti di reddito, lavorando in professioni come l’infermieristica o l’insegnamento. Le suore, ad esempio, guadagnano uno stipendio che varia a seconda del contratto di lavoro, simile a quello di qualsiasi altro cittadino italiano.
I sacerdoti che svolgono un’attività lavorativa percepiscono uno stipendio dal proprio datore di lavoro, che può essere lo Stato, nel caso degli insegnanti di religione, o le strutture militari per i cappellani. Quando il reddito percepito non raggiunge la soglia minima stabilita dalla Cei, interviene l’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (Icsc). Questo ente ha il compito di gestire i fondi e le remunerazioni dei religiosi, finanziando il sostentamento attraverso donazioni private e parte delle risorse derivanti dall’8 per mille.